Crediamo di intenderci, non ci intendiamo mai!

di:
Gabriele Tomasi

Impossibilità dell’essere e del rappresentare in Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello.

Il 9 maggio 1921, presso il Teatro Valle di Roma, debutta Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Affermatosi nell’ambito teatrale grazie ad opere quali Così è se (vi pare), Il berretto a sonagli e La patente, l’autore siciliano rinnova la propria poetica compiendo una rivoluzione del sistema e suscitando al contempo scandalo e critiche. D’altronde, il pubblico borghese presente in sala era solito assistere a rappresentazioni caratterizzate dal verosimile e dall’imitazione. Quella sera primaverile, invece, assisterà ad un’opera dal carattere inedito, da cui – incapace di comprenderla – rifuggirà al grido di “Manicomio! Manicomio!”. Sei personaggi in cerca d’autore rivoluziona a tal punto i canoni dell’epoca da rientrare di diritto tra le pietre miliari del teatro novecentesco. Un responso positivo arriverà soltanto nel 1925, quando verrà pubblicata la terza edizione del dramma contenente una prefazione autoriale che spiega genesi, intenti e temi dell’opera.

Ad essere preso d’assalto non è soltanto il teatro borghese con i suoi meccanismi, ma il rapporto tra realtà e finzione. Assieme a Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo, Sei personaggi in cerca d’autore costituisce la trilogia pirandelliana del “teatro nel teatro”. La componente metateatrale permea l’opera sin dalla prima scena. Lo spettatore si trova di fronte un gruppo di attori guidati da un capocomico ed impegnati nelle prove di un altro copione pirandelliano: Il giuoco delle parti. La compresenza delle opere non ha alcun intento autocelebrativo, piuttosto serve all’autore per rendere manifesto l’allontanamento dal teatro convenzionale e la transizione ad una poetica antinaturalistica.

Durante lo scambio di battute da parte degli attori, l’usciere annuncia al capocomico l’arrivo di sei personaggi. Dal fondo della sala avanzano delle figure fantasmiche, collocate in un altrove, che insistono affinché venga preso in considerazione e messo in scena il loro dramma personale. Tra le sei figure spicca quella del Padre, che presenta  se stesso e gli altri componenti. Uomo sulla cinquantina, racconta di aver abbandonato la moglie (nell’opera apparirà come Madre), costringendola a prendere seconde nozze con il segretario che viveva in casa loro. La nuova coppia metterà su famiglia – dal matrimonio nasceranno la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina – e trascorrerà una vita serena, fino alla morte improvvisa del segretario. La necessità di sostentamento causata dalla disgrazia porta la Figliastra a concedersi presso l’atelier di Madama Pace, luogo di copertura per una casa di appuntamenti. Nell’atelier è ambientata la “scena”, cardine attorno a cui ruota l’opera intera. Sebbene la sua rappresentazione sia impossibilitata dalla morale borghese – viene continuamente elusa e posticipata – ne è permessa una narrazione parziale: il Padre, cliente dell’atelier, rischia di intrattenersi con la Figliastra; il loro rapporto sessuale verrà sventato soltanto dall’urlo della Madre, figura intrisa di pietas. Venuto a conoscenza della situazione disastrosa dell’ex moglie, l’uomo la accoglierà in casa propria assieme ai figli. La convivenza, però, anziché assopire vecchi rancori, contribuirà a creare nuovi conflitti.

Come si evince dal titolo dell’opera, i sei personaggi non accettano che il loro dramma venga rappresentato in maniera edulcorata da parte degli attori. Se ricercano una figura autoriale, è perché pretendono di rivestire i propri ruoli. Per loro non vi è alcuna differenza tra realtà e finzione: rinchiusi dentro un dramma circolare, non esiste altra vita al di fuori di questo. Si assiste, così, all’abbattimento della quarta parete che fa sussultare capocomico e attori. Allo spettatore viene spontaneo chiedersi: tutto ciò è frutto della loro immaginazione o parte della loro tragica esistenza?

A manifestarsi in tutta la propria essenza e potenza, ancora una volta, è il metateatro. Presente sin nella commedia greca antica con Aristofane, ripreso in quella latina da Plauto, con Pirandello fa l’ingresso nella contemporaneità ed assume una nuova funzione. Il metateatro pirandelliano, riflettendo profondamente sul rapporto tra scena e vita reale, permette di cogliere quegli elementi che accomunano i due mondi e li legano in un rapporto di interdipendenza.

Dunque, da una parte abbiamo il Pirandello teorico di teatro. Dall’altra abbiamo il Pirandello sociale, teorico della maschera. Analizzando il testo dei Sei personaggi, risalta subito all’attenzione la mancanza di nomi propri. Ogni personaggio è racchiuso all’interno del proprio ruolo professionale – capocomico e attori – o familiare, come nel caso delle sei figure protagoniste. Soffermandosi su quest’ultime, la loro identità è totalmente fagocitata dal simbolo. Padre e Figliastra non condividono alcun legame di sangue. Eppure, il rapporto sessuale che stava per compiersi continua ad essere connotato come incestuoso. La Madre cerca di riallacciare un rapporto col Figlio, abbandonato in seguito alla rottura del matrimonio, ma trascurerà a sua volta la Bambina e il Giovanotto, che moriranno in maniera tragica.

Dunque, il conflitto risulta il cardine attorno a cui ruota ogni rapporto. L’importanza di tale elemento ai fini dell’opera viene dichiarata nella Prefazione del 1925. Dietro al dramma personale dei personaggi – il voler affermare la propria ragione d’essere – si cela un dramma universale: l’impossibilità di rappresentare tale ragione. Il rifiuto dei Sei personaggi da parte di Pirandello e la loro disperata ricerca di un secondo autore rappresentano un vero e proprio manifesto del teatro contemporaneo. Un’operazione rivoluzionaria, la sua. Una lungimiranza che, a dispetto di qualunque critica immediata, ha permesso all’autore di Agrigento di scrivere un’ulteriore pagina fondamentale della letteratura italiana e mondiale.