Le Stanze di Liszt

di:
Nicola Cattò

a Roma, in Vaticano, a Tivoli.

Nel 1836 la famiglia di tipografi e librai tedesca Baedeker diede inizio alla pubblicazione delle omonime guide che segnarono una pietra miliare per il nascente fenomeno – allora ancora limitato ad una élite, ma presto allargato a fasce più ampie di popolazione grazie alla diffusione delle ferrovie – del turismo culturale. Tre anni dopo un ungherese, ma tedesco di lingua e, in parte, di cultura come Franz Liszt rese la sua prima visita a Roma, la città che per un quarto di secolo, ossia dal 1861 alla sua morte, ne divenne la residenza principale, insieme agli altri due vertici di un ideale triangolo, ossia Budapest e Weimar. Pur non essendo il primo (nella prefazione, Gaston Fournier-Facio ne indica altri due), questo prezioso volume si candida a diventare indispensabile per chi voglia ricostruire gli anni romani di Liszt e, in un certo senso, si pone come un moderno Baedeker, che alla biografia lisztiana accosta suggestioni musicali, con analisi puntuali delle opere evocate dai luoghi fisici o ad esse ispirate, nonché una sorta di storia della Capitale, gli innumerevoli traslochi di Liszt affiancandosi ai suoi rapporti con la Curia romana e Papa Pio IX, che lo chiamava “il mio caro Palestrina”, al cambio di ruolo politico della Città Eterna post-1870, e persino al progredire degli scavi archeologici al Foro, che Liszt vedeva dalle sue stanze di Santa Francesca Romana. I preziosi testi sono presentati in doppia lingua (italiano nelle pagine pari, tedesco in quelle dispari), ma quello che fa vera-mente la differenza è la messe di immagini, sia d’epoca che attuali, che permettono di ricostruire all’istante i mutamenti – ora profondi, ora meno – dei luoghi lisztiani nel secolo e mezzo trascorso. Il lettore, così, potrà contestualizzare meglio l’origine di talune pagine celeberrime, ma anche scoprirne altre colpevolmente trascurate dalla prassi concertistica (e discografica): una per tutte il Christus, gigantesco oratorio che si pone ai vertici della sua produzione. E naturalmente non c’è solo Roma in senso stretto: Villa d’Este a Tivoli essendo uno dei luoghi più cari al compositore, che vi trascorse ampi periodi fino all’inverno precedente alla sua morte (1885), e dai cui giardini e fontane trasse ispirazione per la celebre pagina inclusa nel terzo libro delle Années de Pèlerinage e che suscitò l’entusiasmo del giovane Debussy, allora borsista a Villa Medici.

Ecco quindi, la proposta di questo libro come un moderno Baedeker: forse ancora una volta per un viaggiatore d’élite, in un’epoca in cui il turismo è, a differenza del 1836, brutalmente massificato.

Sul n. 353 di “Musica”, febbraio 2024