EX LIBRIS (61) – L’AQUILA DI ROSELLA È DAVVERO REALE? OPPURE…

di:
Patrizio Pacioni

Non è per niente facile miscelare in un’opera letteraria reale e irreale, magia e quotidianità, facendo in modo che l’impasto che ne sortisce risulti non solo commestibile, ma persino appetibile. Il rischio è che una parte o l’altra (il concreto e il fantastico) finisca per prevalere sull’altra, annacquandola e rendendola sterile e/o insignificante, o peggio…

… o peggio che le fragranze dei due ingradienti si mescolino sì, ma in modo incongruo, rendendo farraginosa la lettura e incerto il messaggio che si vuole veicolare.

Insomma, un’impresa ardua per ogni narratore, ma al tempo stesso una sfida allettante, visto che affrontare un tema avvalendosi di due diverse metodologie di interpretazione ed espressione, direi spalmando la storia su piani distinti ma paralleli, può consentire una maggiore forza di suggestione nei confronti del lettore.

Ciò di cui ci occuperemo tra qualche riga, riguardo al romanzo breve intitolato «Anouk e l’Aquila reale» firmato da Rosella Nobilia è proprio di capire se, in questa occasione, si sia raggiunto o meno l’obbiettivo prefisso dall’Autore. Ops, dall’Autrice.

LA TRAMA:

Anouk, una giovane dalle straordinarie capacità paranormali, negli anni quaranta, in piena seconda guerra mondiale, diviene l’alter ego di un’Aquila Reale che trova di appena pochi mesi in un anfratto del misterioso e magico Monte Soratte.Una amicizia per sempre tra nascite, morti, sogni, lavori straordinari e trasmutazioni. A una giovane giornalista, Ginevra, il compito di scoprire, interrogando l’ultimo testimone, Elia il guaritore, dove e come sia sparita l’anziana psicologa e pranoterapeuta. Ma anche in Ginevra ci sono molti lati oscuri…

LA  MIA LETTURA:

Ed eccomi qui, a rispettare l’impegno preso nella prima parte di questo articolo. Innanzitutto mi sembra opportuno premettere che l’ottantina di pagine che compongono questo libro NON ha richiesto le due ore (o poco più) che di solito s’impiegano per arrivare alla parole fine di questa tipologia di romanzo breve (o di novella lunga, fate voi). Per farlo, costringendomi a leggerne solo un capitolo ogni mattina, sorseggiando buon tè e sgranocchiando biscotti, ho impiegato esattamente tredici giorni.

Fin dalle prime righe, infatti, mi sono reso conto che per meglio comprendere (e assaporare) «Anouk e l’Aquila reale» bisogna comportarsi esattamente come quando si è a confronto con la bevanda aromatica tanto cara ai britannici e non solo: a piccole dosi, degustando ogni singolo sorso. Anche perché, in questo caso, oltre a ciò che è scritto ci sono anche le illustrazioni, curate a modo suo (e vi assicuro che il suo è un bel modo) da quell’uom dal multiforme ingegno che risponde al nome e cognome di Luca Fiorentino, artista di delicata e squisita sensibilità poetica autore, in questo caso, di tavole di straordinaria suggestione, su ciascuna delle quali è doveroso, oltre che estremamente piacevole, soffermarsi tutto il tempo necessario.

Tornando alla scrittura, piana e scorrevole, immune da autocompiacimenti ma sempre precisa ed elegante, direi che si tratta del filo più idonea a tessere una trama che a quell’interrogativo posto in premessa, ovverosia se, in questo caso, la tecnica narrativa scelta, a metà tra materialità e visione si sia risolto in un esperimento riuscito o meno, mi permette di esprimermi positivamente senza esitazione alcuna.

Concludendo con un riferimento letterario, azzardo un richiamo a un romanzo che molto ha segnato la mia formazione, vale a dire «L’Alchimista» scritto dal brasiliano Paulo Coelho nell’ormai (ahimé) remoto 1988. Si tratta di un richiamo per così dire psicologico, piuttosto che testuale, ovviamente, ma credo che chi ha gà letto quella straordinaria opera (e invito caldamente chi ancora non ne avesse avuto l’occasione di farlo al più presto) potrà comprendere la sensazione evocativa e poetica che intendo esprimere.

Fonte: cardona.patriziopacioni.com