Franco Purini è nato nel 1941 a Isola del Liri. Architetto, allievo di Maurizio Sacripanti e laureato con Ludovico Quaroni, è stato docente a Reggio Calabria, Venezia, Roma. Ha tenuto inoltre corsi a Milano, Ascoli Piceno, Perugia, Siena. Professore Emerito di Composizione Architettonica e Urbana dell’Università Sapienza di Roma, Medaglia d’oro di Benemerito della Cultura e dell’Arte, della Presidenza della Repubblica, è membro dell’Accademia Nazionale di San Luca e dell’Accademia delle Arti del Disegno. Ha ricevuto dalla Triennale la Medaglia d’oro alla carriera. L’UID (Unione Italiana Disegno) gli ha conferito la Medaglia d’argento e quella d’oro. Ha ricevuto la Laurea Honoris Causa dalla Facoltà di Architettura Ion Mincu di Bucarest. È autore di alcune opere architettoniche, di molte serie di disegni di invenzione, di numerosi libri, tra i quali Comporre l’architettura. Ha studio a Roma con Laura Thermes dal 1966.
Alcune forme dell’Utopia
Quando decidemmo di realizzare questo volume avvalendoci di un’intervista a Franco Purini, sapevamo già che le acute introspezioni nel territorio dell’architettura avrebbero contribuito ad alimentare il complesso panorama delle utopie con l’innesto di nuovi termini da lui coniati come Transtopia, Retropia… Appare fin dalle prime battute come la visione dell’architettura del nostro si propone come atto creativo in grado di trascinare a sé tutti gli elementi che contribuiscono a definirla come cosa umana per eccellenza, forma d’arte che implica sostanzialmente una visione unitaria, che dal processo compositivo, avviato dal disegno, si invera in proposte in grado di dare di conto della sua interezza, come un corpo, egli dice, dove essendo pur presenti i diversi organi, questo si erge con la sua indivisibilità e la sua fisicità. Malgrado il suo essere reticente a scoprire il lato intimo e personale del suo percorso esistenziale, in una forma di voluto anonimato, Franco Purini si lascia trascinare in ricordi dell’infanzia, della sua giovinezza, e persino della sua nascita a Isola del Liri in una casa che doveva avere le suggestioni di una capanna laugeriana. Non poche sorprese, almeno per chi scrive, scoprire dell’autore questa sua ricerca di un Creatore che lo spinge in un alveo misticheggiante dove riecheggiano possibili dialoghi sperati con l’assoluto o il trascendente. Forse che la buona architettura si dà solo attraverso una tensione verso l’aldilà proprio perché pratica consueta per l’aldiquà? (Marcello Sèstito)
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