Disambientamenti

I disambientamenti di Carmelo Baglivo, volgono il loro sguardo soprattutto alle carceri d’invenzione piranesiane, come se gli accostamenti dei ruderi e delle strutture richiedessero sempre un substrato da cui innalzarsi, un sedimento archeologico da cui ripartire. Le deformazioni prospettiche, le superproiezioni, gli affastellamenti, la ricerca di un punto di fuga, ci dicono che con l’architettura e tutto il suo repertorio si può ancora gio-care, a patto che il gioco sia serio e non lasci trasparire turbamenti né pentimenti. Ma ciò che rende affascinanti e sorprendenti alcuni dei montaggi proposti da Baglivo, dove un passato sorregge il presente, risiede nell’idea che innesti e riadattamenti, e griglie perentorie e ordinatrici, possano elevarsi cartesianamente quasi a contraddire le difformità dei lacerti o dei ruderi. A volte prevale una sorta di gigantismo in elevazione, una certa sintesi tra macro e micro a rendere i disambientamenti inquietanti paradossi che solo la carta tiene insieme, non certo la statica. I reticoli prospettici vorrebbero ordinare la scena in questi mondi allusi, dove il traliccio o la graticola si illude di contenere un mondo al cui disordine apparente del rudere poter contrapporre l’ordine altrettanto perentorio della misura. “La struttura, ci dice lo stesso Baglivo, è una proto-architettura, un edificio non iconico che è sempre in attesa di essere colonizzato. L’edificio non è più tutto ciò che risponde alla crescita della città, ma è ciò che attende sempre di essere trasformato”. Un attendere che si dibatte tra reperti e riporti. (Marcello Sèstito)