Una stretta di mano storica…

di:
Antonella Greco

… tra due personaggi straordinari. Uno è il topo più famoso del mondo. L’altro è un signore: eccentrico come un disegno dei fumetti, entusiasta di essere lì in quel momento. È Sergej Ejzenstein, il più famoso regista della Russia sovietica.
Una fotografia lo ritrae come in un collage dadaista: nelle mani di un barbiere, con la faccia ricoperta di schiuma, in obliquo sullo sfondo dei grattacieli di New York; un’altra mentre posa a Los Angeles con l’inventore di Mickey Mouse. Da questa visita nelle città più cinematografiche dei suoi tempi nascerà un saggio su Walt Disney.
Così, un trentennio prima di Umberto Eco, sarà il regista di Ivan il terribile, il teorico geniale della tecnica del montaggio, a considerare con serietà la fenomenologia del fumetto, di Topolino e dei cartoni animati in generale. Ad interessarlo è soprattutto la tecnica, l’espressione del segno, simile e pur diverso da quello dell’arte. E la stretta di mano tra il regista e Topolino che abbiamo ricordato sembra ribadire, anche simbolicamente, i rapporti complessi e intrecciati tra cinema, arte e disegno animato. Tipologie e specialismi diversi ai nostri tempi, ma nati dallo stesso ceppo in un rapporto biunivoco di debito/credito con il cinema sicuramente innegabile. Ma non è detto che proprio il cinema – o disegno animato – non debba al fumetto l’invenzione del suo spazio inventato, analogo, fantastico, anche quando le pretese sono della più assoluta finzione e aderenza al reale. Categorie spazio-temporali consuete sono infrante costantemente nella confezione di un film come in una striscia di fumetto. Contenuti e tipologie del cinema aderiscono spesso a quelle del fumetto: non si saprebbe immaginare uno spazio totalmente inventato e ricostruito in uno studio come quello felliniano, senza l’esistenza dei suoi disegni.
Costantemente il cinema si appropria di eroi e di storie di fumetti, con alterne vicende di successo. Ma basta guardare le guaches di Syd Mead, disegnate nell’80 per Blade Runner, per rendersi conto di quanto il cinema debba al fumetto e viceversa.
Come sembra pleonastico anche solo sottolineare la filiazione reciproca del fumetto dall’arte e viceversa. Dai quadri dada-surrealisti di Max Ernst alle gigantesche tele di Liechstein, passando dalla mostra londinese “This is Tomorrow” dell’Indipendent Group (1956) in tutto il Novecento c’è un’assoluta volontà da parte dell’arte di riappropriarsi del linguaggio e delle icone della cultura popolare.
Sempre più sofisticato, ridondante, immaginifico e barocco, lo spazio dei fumetti di oggi si contamina con quello virtuale dei videogiochi, ancora tutto da analizzare; diventa il non spazio delle eterotopie di Foucault, l’uhr matrice di Matrix, la rappresentazione del cyberspazio di Gibson, il concentrato degli stereotipi e delle distopie del postmoderno.
In un’epoca solo fintamente più rassicurante della nostra, nel secolo breve appena trascorso, Saul Steinberg – l’architetto amico di Elio Vittorini e di Costantino Nivola – ha spesso condensato nello spazio compresso di un fotogramma l’anima di una città, di una nazione addirittura, mantenendo nell’osservarla l’occhio surreale del cartoonist.

(da: Antonella Greco, Una stretta di mano storica…, in “Controspazio”, n. 117, XXXV, sett/ott 2005